Architetture Zero Trust e resilienza informatica avanzata

CYBERSECURITY E RESILIENZA DIGITALE

Network Caffè

3/12/20253 min leggere

Architetture Zero Trust e resilienza informatica avanzata

Nel panorama delle minacce odierne, le aziende stanno adottando approcci radicalmente nuovi alla sicurezza. Zero Trust Architecture è diventata una parola d’ordine: un modello di sicurezza in cui nessuno, né dentro né fuori la rete, è considerato attendibile a priori. Al contrario, ogni accesso a risorse digitali deve essere autenticato e autorizzato in modo continuo. Questo approccio, sintetizzato nel motto “never trust, always verify”, supera il vecchio paradigma del “perimetro aziendale sicuro”: oggi che utenti e dati sono distribuiti su cloud e dispositivi mobili, assumere che l’interno della rete sia fidato non regge più.

Implementare Zero Trust a livello avanzato significa mettere in atto una serie di tecniche: microsegmentazione della rete (creare “micro-perimetri” attorno a risorse critiche, così che anche se un attaccante penetra in una porzione, non può muoversi lateralmente oltre), autenticazione a più fattori (MFA) ovunque (utenti che forniscono più prove di identità per accedere, riducendo il rischio di account compromessi), e verifica continua dello stato dei dispositivi (assicurarsi che ogni endpoint che richiede accesso sia sicuro e conforme). In pratica, l’accesso di un dipendente a un’app interna avviene solo se: la sua identità è verificata con MFA, il suo laptop rispetta i criteri di sicurezza aggiornati, e ha i privilegi minimi necessari (principio del least privilege).

Un case study emblematico è BeyondCorp di Google, una delle prime implementazioni Zero Trust su larga scala. Google, dopo alcuni attacchi sofisticati, decise di non fidarsi più nemmeno della propria rete interna e di richiedere autenticazione e crittografia per ogni singolo servizio, anche quando usato dagli uffici aziendali. Ciò ha comportato la creazione di un’infrastruttura in cui le app sono pubblicate su Internet ma accessibili solo tramite proxy di autenticazione centralizzati che validano continuamente utenti e dispositivi. Il risultato è un modello in cui lavorare da casa o dalla rete interna di Google è indifferente in termini di controllo di sicurezza – riducendo drasticamente la superficie di attacco.

Dal punto di vista della resilienza digitale, l’architettura Zero Trust offre vantaggi significativi. Se un attaccante compromette un endpoint, non può automaticamente accedere a tutto il resto: ogni movimento laterale viene bloccato dai micro-perimetri e dalla necessità di ri-autenticarsi. Questo limita i danni potenziali e dà più tempo ai difensori per rilevare l’intrusione. Inoltre, Zero Trust sposa bene l’idea di “compartmentalizzazione”: analogamente alle paratie stagne di una nave, anche se un compartimento (sistema) viene allagato (violato), gli altri restano intatti, prevenendo l’affondamento della nave intera (l’azienda).

Da un punto di vista avanzato, implementare Zero Trust richiede notevole lavoro di integrazione: gestione centralizzata delle identità (IAM federata, integrazione con Active Directory/Azure AD, ecc.), criteri dinamici che valutano il contesto (es. utente che normalmente accede dall’Italia improvvisamente tenta da un altro continente – scatta un’ulteriore verifica), e un monitoraggio costante degli eventi con sistemi di threat detection. In ambienti complessi, si utilizzano piattaforme come NIST SP 800-207 come riferimento architetturale, che definisce i componenti core (Policy Engine, Policy Administrator, Policy Enforcement Points).

Va notato che Zero Trust non è una tecnologia singola, ma un insieme di principi. Gli esperti avvertono che non esiste “Zero Trust in scatola”: serve riprogettare processi e infrastrutture. Ad esempio, la rete va configurata per imporre segmentazione e criptazione; i log di accesso devono essere raccolti e analizzati per individuare tentativi sospetti (es. un servizio che richiede dati a cui normalmente non accede, segno di possibile compromissione di credenziali).

In sintesi, Zero Trust rappresenta un approccio olistico alla sicurezza informatica avanzata, dove ogni richiesta è considerata potenzialmente malevola finché non provi il contrario. In un’era di attacchi sempre più sofisticati e persistenza avanzata delle minacce (APT), questo modello si sta dimostrando fondamentale per costruire una resilienza digitale robusta: anche se i criminali riescono a penetrare un punto, non possono dilagare, e l’organizzazione può continuare a operare isolando e rimediando rapidamente all’incidente.

Bibliografia:

  1. IBM – “Cos’è l’approccio Zero Trust?” (2024), definizione e principi base Zero Trust (mai fidarsi, verificare sempre; superamento del perimetro)​.

  2. Tomorrow.bio“Il transumanesimo e implicazioni” (2023), discussione sul miglioramento continuo e i limiti .

  3. NIST SP 800-207 – “Zero Trust Architecture” (2020), linee guida NIST su implementazione architettura Zero Trust (Policy Engine, PEP, trust algorithm) .

Google BeyondCorp – Whitepaper (2014), caso pratico di implementazione Zero Trust in Google, rimosso concetto di “intranet fidata”.